CAPITOLO XV. 4 il trovar strano-cho la proibizione del commercio, al dire dell’istesso Daru, fatta publicamente ai nobili in maggior consiglio, sia rimasta a lutti sconosciuta al punto da non trovarsene memoria di sorta, nè per entro ai publici registri, nè fra le carte degli istorici. Impugna, poi, l'asserzione del nono capitolo cbe, cioè, siasi sempre negato ilpossessQ temporale ai figli e fratelli degli ambasciatori residenti in Roma, onde non potessero conseguire alcun benefìcio o dignità ecclesiastica, mentre è nolo che i possessi temporali non si davano, nè si potevan dare dal tribunale secreto, a cui non si sarebbe potuto nep-pur far ricorso, bensì dal senato. Per’cui, a suo avviso, gli .inquisitori avrebber dovuto scrivere nei loro Statuti coi seguenti termini: si passerà d'intelligenza col senato, perchè non sia dato loro il possesso temporale, ecc. Altre osservazioni aggiunge il Giovini. In proposito dell’arlicolo 5° in cui viene indicato come un abuso da reprimersi il tenere possedimenti stabili e l’impiegar capitali in paesi non soggetti alla república, egli dimostra, al contrario, come il governo veneto, ben lungi dal riguardare quei possessi e quei capitali impiegali all’estero come un’infrazione alle patrie leggi, si assumesse l’incarico di”proteggerne i possessori. Infatti, aggiunge il valente critico che molti nobili veneziani, ed anche altri non nobili, avevan fondi sul milanese, e più ancora sullo Stalo Pontifìcio. Anzi, rispetto a questi ultimi, il governo avrebbe fallo nel 1529 una convenzione colla Santa Sede, mantenuta fino agli ultimi tempi della república, e fondata su privilegi anteriori che guarentiva ai possessori veneziani le loro antiche immunilb, e specialmente la libera estrazione dei loro redditi. Quindi asserisce il Giovini esser falso che fosse per st: dei, Cons. dei Dieci — Vol.-i- 56