CAPITOLO XVII. 500 eia , che, per la comodila di soccorrerlo, non si potrà sperare di cacciamelo, se non commovendo tulio il mondo: e, però, noi vicini a sì meravigliosa potenza, slaremo nel lempo della pace in gravissima spesa e sospetto, e, in lempo di guerra, saremo tanlo esposti alle offese sue, che sarà difficilissimo il difenderci. E, certamente, io non udiva senza ammirazione, che, chi ha parlalo innanzi a me, da una parie non temeva di un re di Francia, signor del Ducalo di Milano; dall’altra si dimostrava in tanlo spavento di Lodovico Sforza, principe mollo inferiore di forze a noi, e che, con la timidità ed avarizia, ha messo sempre in grave pericolo l’imprese sue; spaventavamo gli aiuti che.avrebbe da altri, come se fosse facile il fare, in lanta diversità di animi e di volontà, e in tanta varietà di condizioni, tale unione; e come se non fosse da temere molto più una potenza grande, unita lulla insieme, che la potenza di molti; la quale, come ha i movimenti diversi, così ha diverse e discordami le operazioni; confidava che in coloro, i quali, per varie cagioni , desiderarono la nostra declinazione, .si troverebbe quella prudenza, da vincere gli sdegni e le cupidità, che noi non troviamo in noi medesimi a raffrenare questi ambiziosi pensieri. Nè io so perchè dobbiamo prometterci che nel re dei Romani, e in quella nazione, possa più l’emulazione e lo sdegno antico e nuovo contro al re di Francia, se acquisterà Milano, che l’odio inveteralo che hanno contro a noi, che leniamo tante terre appartenenti alla casa d’Austria e all’imperio. Nè so perchè il re dei Romani si congiungerà più volentieri con noi contro al re di Francia, che con lui conlro a noi; anzi, è più verosimile l’unione dei barbari, inimici eterni del nome