CAPITOLO II. 45 alto di sommessione, e le milizie francesi non tardarono ad occuparla. Ben lento il duca Sforza di opporre qualche resistenza, essendosi chiuso nel castello con forte guarnigione; ma dopo 20 giorni, dovette capitolare, e lui fortunato che il vincitore gli lasciò agio di ritirarsi in Francia con lauta pensione. Non appena fu concesso all’Alviano di moversi da quel posto dove tanto aveva cooperalo al buon esito della battaglia, si diede con lutlo Io zelo a ricuperare le parecchie città perdute dalla república. S’era già felicemente impadronilo di Bergamo, e di là, mentre pensava recarsi all’assedio di Brescia, sfinito per le tante fatiche, il 7 ottobre cessò di vivere. Certo a costui non eran riescile prospere tulle le imprese, ed il senato veneto, che era solito retribuire i suoi, non dai meriti, ma dall’esilo, gli aveva falto passare dei giorni ben tristi. Noi il vedemmo avventatamente arrischiare una battaglia contro il più calmo consiglio del collega e vedemmo pure come sia stato punito di sua temerità; ma certo non sarà mai abbastanza ammirata la di lui inconcussa costanza e l’eroico valore; e, benché sessagenario, tanta era in lui l’energia e l’amor della gloria, che non si ristette mai dall’intervenire alle più rischiose imprese; e gli storici contemporanei fan le meraviglie perchè abbia saputo, egli pel primo, fare con lutto il suo esercito più di 8 miglia per giorno. Il governo veneto, pensò, se non altro, a suntuosamente onorare la di lui memoria, e decretò che nella capitale fosse trasferito il di lui cadavere per fargli onorevolissime esequie, benché fosse necessario, per ciò, di attraversare il territorio di Verona, occupata dagli Austriaci, dai quali si ebbe un salvocondotto.