CAPITOLO XII. 387 che erano, non mancarono di scrivere, in data del 28 luglio (1796), al podestà di Bergamo che mostrava tanto zelo, ingiungendogli di continuare, bensì, ad armare cd organizzare con ogni studio la popolazione malcontenta, ma, per amor del citilo, facesse le cose col più profondo secreto, e sopratulto badasse ad evitare un’esplosione prematura. Immensi erano hi quel momento i successi ottenuti dalla Francia in Italia; poiché, non solo prosperi le erano riesciti gli eventi deila guerra nella Lombardia, ma eziandio il re di Napoli era venuto con essa a trattative, ed il papa aveva chiesto un armistizio. In tutta la Penisola, all’Austria non. restava più che la fortezza di Mantova. Fu allora che i{ Direttorio, per finirla più presto con quella potenza così pertinace, stimò bene di sollecitare la republica veneta ad entrare con essa in una lega. E siccome sapeva quanto fosse difficile il distoglierla dal suo sistema di neutralità, mise in opera, per riescirvi, ogni sorta di artifìcio. Persino un ministro turco, parlando, come se fosse a caso, col dragomanno di Venezia a Costantinopoli, si era lascialo intendere che in quel totale sovvertimento d’Europa il senato veneto non poteva e non doveva più starsene isolato, ma sì consentire a quelle alleanze che, per la sicurtà de’suoi stilli, stimasse necessarie; aggiungendo che niuna lega poteva essere più acconcia di quella fra Venezia, la Porta, la Francia e la Spagna. E le stesse cose veniva ripetendo Verninac, ministro di Francia a Costantinopoli, col Fo-scari, bailo della republica, al quale, anzi, consegnò uno scritto, in data del 17 messidoro, anno iv della republica