CAPITOLO XII. 453 eziandio quello delle provincia. Questo partilo essendo stalo respinto, si propose di rifiutar sia qualsiasi innovazione nella forma di governo, e di provedere invece con ogni possibile mezzo di resistenza alla salute della patria. Ala neppure questa proposizione venne adottala: onde finalmente si decise di praticare quelle riforme, che valessero a ravvicinare il sistema aristocratico del governo veneto, col democratico teste inauguratosi in Francia; ma gradatamente, e senza offendere di troppo la costituzione! La mattina del Io maggio, al suono delle solile campane, convocaronsi i Padri in Gran Consiglio. 11 publico palazzo era circondalo da ogni parte da gente armata cor cannoni pronti e miccia accesa. 11 popolo, a quello spettacolo allatto nuovo nella più che millenaria república, non sapendone la cagione, restava attonito ed atterrito, come pei- presagio di supreme sventure. Finalmente comparve il doge, pallido, sfigurato; e con voce interrotta dai singhiozzi, si fece a descrivere Io stalo disperante della república. Onde scongiurava i senatori a cedere ad una necessita ineluttabile, e, per quanto avevano di più caro al mondo, a dare facoltà di venire ad un accomodamento col generale francese, foss1 anche con qualche alterazione negli ordini fondamentali della república: essendo meglio sacrificare una parte che perdere il tutto. A queste parole, molli senatori piansero di dolore e di sdegno; quindi, ad una gran maggioranza, si decise che: vislo l’imminente pericolo della patria, avendo il señalo, nella sua prudenza, stimalo opportuno d’inviare due deputali al generale Bonaparle per evitare la ruina