CAPITOLO XIV. 401 lorosa ricordanza all’Italia del loro funesto passaggio, spargendo una peste sulle terre venete, clic immolò uno straordinario numero di vittime nella stessa capitale, e vi incusse tanto sgomento che il Consiglio dei Dieci dovette proibire ai nobili, con apposita legge, di allontanarsi dalla citta. Dicesi che ne morissero persin cento cinquanta persone al giorno (1). In quel mentre si seppe per giunta, che il re d’Unga-ria da nemico s’era fatto alleato dei Turchi ! Costernata Venezia a tale notizia, onde ovviare alle tante sventure, di cui quella lega poteva esserle funesta cagione, fé’ dire al re d’Ungaria com’essa fosse disposta a lasciargli Negroponte, a cedergli Croia (2), con altre parti della Morea: ed anche rassegnavasi a pagare al Sultano un tributo di mille ducali. Ma questi non si lasciò smovere da tali offerte, persuaso com’era che fosse giunto il momento di scacciare interamente i Veneziani dalla Grecia. Al quale uopo condusse egli stesso un nuovo esercito nell’Albania; e guai se non fosse stalo alla testa delle venete flotte un Antonio Loredano!—Croia dopo una lunga emagnanima resistenza, alla fine dovette pur cedere; vinta però solo dagli strazi crudeli della fame. — Ad onta dei patti, quei miseri abitanti vennero tutti trucidati ! Ben altrimenti però avvennero le coseaScutari, dove un’ altra volta accorsero i Turchi a mettere l'assedio. Quivi meno infruttuoso riuscì il prodigioso valore dei Veneti; (1) Il Malipiero ila una cifra assai minore: «Quest’anno (1478) a tempo nuovo, ha principia la peste, e lui dura fin al mese de novembrio ; e ne son morti da 50 fin a 80 al zorno. » (2) Nel Ak-Hissar, in una vallata dell’Albania, poco lungi dal torrente Icluno, e a detta del Malipiero, passo di grande importanza. st. dei, Oi>ns. dei Dieci — Voi. I. 51