t 56fi STORIA DEL CONSIGLIO DEI DIECI il mal «more, per altro scoppiò, quando si vide il commissario imperiale arrivato per prendere possesso di quella città, essere un tal Leonardo Trissino, Vicentino, uomo sul quale pesava l’universale esecrazione. Per cui, certo Caligaro, calzolaio, mosso da patrio entusiasmo, si diè a correre per le contrade, gridando : Viva San Marco.—Allora- il popolo, rianimato da quel magnanimo esempio, s’ammutinò; pose a sacco le case di quei ribaldi che avevan chiamato Io straniero; cacciò il commissario imperiale, e, protestando di non volere disgiungersi dalla republica, sventolò tosto il vessillo di San Marco. 11 Pitigliano mandò, quindi, sei o settecento uomini, che bastarono a salvare l’intera città. A metter fine a tante sciagure, procurò la republica di disgiungere il papa dalla lega; ed, a quest’uopo, incaricò due cardinali veneti, che allora trovavansi in Roma, ad interporre i loro buoni ofiìcii presso il pontefice. Venezia si dichiarava pronta a restituirgli Ravenna, unica eri là della Romagna ancora rimasta in suo potere, e sollecitava la mediazione del padre comune dei fedeli, onde evitare i pericoli che all’ Italia intera sarebbero derivati dalla presenza degli stranieri, e dalla caduta della republica. Giulio II, benché mal disposto contro Venezia, sentì commoversi a quella proposta, che fornivagli un mezzo per metter termine al progresso degli stranieri in Italia. Per cui, accortosi il governo veneto di questa buona disposizione, raddoppiò le proteste e le istanze. E il doge arrivò persino a scrivere al papa per implorarne il perdono, e la facoltà di mandargli sei senatori, coll’incarico di umiliarsi ai suoi piedi, e ricevere l’assoluzione