CAPITOLO XIII. ' 349 d’invidia; il quale supposto diventa poi tanto piìi incre* dibile, in quanto che in moltissimi luoghi dell’opera sua il Daru ha reso dell’Italia e degli Italiani le più onorevoli testimonianze. Il mal vezzo di venire a cercar nella nostra penisola i tipi d’ogni più nefanda ribalderia e di predicarci, con vile e brutale provocazione, inetti per conto nostro ad ogni politico e civile miglioramento, fu sempre in Francia, come ancora lo è proprio soltanto di qualche eccezionale individualità. Ma oramai che la terra dei morti è gloriosamente risurta, pare che l’esclusivo privilegio di insultarla sei sia assunto il giornale dei dibattimenti. Per il che, dopo aver solennemente protestato che non intendiamo di ritener complice la generosa nazione francese delle codarde contumelie vomitate contro noi da alcuni suoi giornalisti, vorremmo pregare cotesti signori, invece di fare il Geremia sul conto nostro, a volere un po’ piangere sopra loro stessi, che n’hanno ben d’ onde, massime dopo quei mostruosi processi che al cospetto di lutto il mondo si sono fatti negli scorsi mesi dinanzi alle loro Camere; chè, invece di sognar sette e partiti a nostro danno e vergogna, farebber meglio a pensar seriamente ai casi loro e guardare se essendosi scoperto tanto marcio e fracidume nei membri più elevati della società loro, non sia a temersi che la gangrena non passi presto ad intaccarne anco le viscere. Del resto, per tornare al nostro proposito, i governi che sempre e lealmente agiscono, come è stretto loro debito, per il bene dei sudditi, non hanno timore che i falli loro vengano divulgali, mentre è antichissimo il detto che solo chi fa male odia la luce (1). Anzi, è (1) Qui male agii, odit luce-m. t