CAPITOLO V. 133 e talvolta eziandio restituiti i prigionieri. Ultimamente, presa Chioggia, niun disarmato essere stato offeso, tranne pochi i quali, fatti prigioni, eran morti per temerità di pochi, non per publico volere. Del resto, a niun altro mai essere stata negata la salute, e quelli che erano capitati nelle loro mani quando mancarono di cibo, acciò non morissero di fame, s’ erano lasciati andar liberi ai suoi. — Non negavano che prima di rendersi avevano voluto esperimentare ogni cosa; ma questo non tanto avevan fallo per odio, quanto per essere giudicali da’suoi come uomini costanti e valorosi: se non che essendo superati oggimai, piuttosto per fame che per arme, non doman-davan oro, non argento, nè altre loro ricchezze; ma solo la vita, la quale dinegare a un uomo disarmato e umile, non è minore crudeltà che per fraude torla ad alcuno. Ma qualsiasi fine aspettassero i Genovesi, essi mettevano ogni speranza ed ogni loro voto nella clemenza dei Veneziani, i quali considerassero quello che era da concedere a’ miseri lacrimosi ed afflitti supplicanti ; perciocché non erano mai per credere che potessero dimenticarsi dell’ umana fragilità coloro che tante volte avevana esperimenlato le cose avverse.— 11 Doge rispose: — Stessero sicuri che tra breve si troverebbero in ceppi; allora i senatori, con più maturo consiglio, consulterebbero della vita e morte loro. Esser troppo giusto ed onesto che fossero tenuti in servitù ed oscurità coloro che, mentre seguivano l’odio e l’ira, della propria gloria si privarono. Partissero adunque, ed acciò non perdessero quanto loro era stalo detto, facessero tosto quanto erano per fare—(1). (1) Sabeluco.