132 STORIA DEL CONSIGLIO DEI DIECI far ritorno agli agi delle loro case. Sicché pareva loro che la guerra si protraesse di troppo per colpa dei capitani. Intanto da Genova erano venuti nuovi sussidii, i quali, se non potevano penetrare in Chioggia a recar sussidio agli assediati, troppo accrescevano ai Veneziani le difficoltà di una decisiva vittoria. Malgrado ciò, ricusaron essi la proposizione dei Genovesi, che sarebbero sgom-. brati da Chioggia, purché si lasciasse facoltà alla flotta di escirne liberamente. Altri mezzi tentarono i Genovesi per uscire da quelle angustie; ed una volta, essendo arrivati a corrompere la mercenaria soldatesca di Zeno, per poco non vi riescirono. Ma sul più bello, accorse il Pisani colla sua flotta; prese alcune barche nemiche, e costrinse lg altre a ritornare entro il forte, dove stavano così dolorosamente assediate. Quivi, ridotti a non avere più pane da mangiare, nè acqua da bere (1), punti dagli spasimi della fame, mandarono al Doge i più cospicui personaggi che si trovavan fra loro, ad implorare mercè (2). — In nome di Dio avesse pietà della loro miseria. È vero che avevan combattuto da nemici contro i Veneziani, e per mare e per terra; ma l’avevan fatto solo per conquistarne l’impero, non per rapirne la vita, come risultava all’evidenza dall’avere le tante volte, nelle passate guerre, riscossi o ricambiati, (1) « I prigioni menati a Venezia dissero che avevan mangiato fino i cani e i gatti eh’ erano in Chioggia, e che non avevano da vivere fino al giorno seguente, e si lamentarono molto del signore di Padova, il quale promise loro di mandar vettovaglie, e non osservò. > V. il Sanuto. (2) Ad ullimum., extrema defatiyati inedia, et ad obscoenos quoque cibos redacti, non prius de se dedendis coepere eonsilia, quam auro tentata aliquot Venetorum dacum pro effagio fide.... Demum, domiti Genuen-ses, misere legatos qui, nudis tantum corporibus, liberarli abeundi facul-taleni deprecarentur. » —Veri.