CAPITOLO XII. 321 lazione delle leggi del Consiglio dei Dieci, e fu loro lasciata per ben poco tempo. Imperocché, pochi anni di poi, prima di mettere qualcuno alla tortura, furono obligati « di domandarne il permesso ai Decemviri ; e le loro sentenze capitali, prima di essere eseguite , dovevano da quei medesimi appruovarsi ». Sicché il Giovini dichiara che, in sostanza, l’inquisizione di Stato dopo il 1600 , non fu, nè più , nè meno , di quello che sono a un dipresso le polizie moderne. Ben inteso, però noi vogliamo soggiungere nei governi più deplorabilmente dispotici; poiché, se le cose continuano a procedere del passo che hanno preso in questi ultimi tempi, vedremo tra breve gli scellerati agenti di queste nefande magistrature chiamati a processo , dinanzi al tribunale della ragion publica che, per la Dio grazia, ha oramai acquistato tanto potere nelle politiche vicende della nostra patria. Per continuare intrepido nella sua confutazione, il nostro critico asserisce che quel misterioso tribunale altro non era se non un gran spauracchio, che alcuni storici ignoranti pretesero di farci; e quindi, lira innanzi colle seguenti osservazioni. — Gli Statuti, ei dice, parlano quasi sempre di leggi che obbligano un tal magistrato , od un tale patrizio ; ma come potevano avere tal forza leggi che rimanevano secrete, ignote, chiuse in una cassetta, a cognizione soltanto dei tre Inquisitori? L’articolo terzo degli Statuti prescrive che i processi si dovesser fare in secreto'; e la legge del 1559, da noi più sopra citala, che inslituisce gli Inquisitori contro i rivelatori dei secreti, comanda che le loro sentenze vengano publicate nel Maggiore Consiglio. Come si fa, dimanda il Giovini, a conciliare siifatle contraddizioni? St. bel Cons. bei dieci—Voi. I. 41