CAPITOLO- XIII. mitragliare e bombardare, piuttosto che obbedire alle sue leggi ed accellare le sue costituzioni. Prima di giungere al campo, egli era già tornalo a casa; empiva di cannoni la sua capitale, murava le finestre del suo palazzo; imbarcava i suoi danari. Poi mandava i suoi mercenari! stranieri a scannare i cittadini e vuotare le botteghe. — Un altro campione d’Italia era il duellino, tua duca di Parma, allievo dello staffiere d’un padre giocatore. E anch’egli andava travestito eia servitore alla guerra santa, quando, strada facendo, fu conosciuto da uno do’suoi sudditi, e messo in prigione dal parente ed amico Carlo Alberto. Del quale ultimo eroe non slimiamo opportuno di far parola, per quelle ragioni eli*' il lettore può facilmente indovinare. Compiuto esser dovrebbe, oramai, il disinganno d'Italia. Coll’affidare ai principi la propria salute, essa Ita perduto un anno di tempo, un tesoro di danari e di roba, molto migliaia di giovani generosi, uccisi sui campi di battaglia, o nella difesa delle città, o vilmente luci-lati. Ma, in ricambio, ha guadagnato la coscienza della sua forza materiale e morale. Guardate lo sdegno con cui Genova accoglie la novella di un vile armistizio: è quasi un impeto involontario, ma mostra gli animi come sono. Guardale le donzelle di Palermo, che, incoronale di fiori, vanno con vanghe e zappe a munire la libera città, la quale non potrà cadere, se non per vile artificio dei reazionarji. Guardale Roma, che, all’annuncio della meditata fuga del Pontefice, riapre il volume del suo passato, e scrive sul Campidoglio il vecchio nome della república; ed assalita dalle armi di quattro nazioni ohi romana grandiloquenza dichiara che « potenza più j,0