CAPITOLO XII. 527 diateli» veneziano. Gli fa quindi maraviglia il veder adoperate le parole Statuto capitolare, mentre la prima di queste voci non fu mai usata da veruna magistratura del governo veneto; e quanto al capitolare, esso non era che « la raccolta o notatorio, in cui progressivamente si registravano le prescrizioni dei veneti magistrati, o quelle che potevano riguardarli; ed all’incontro le autorità date ad essi nella loro istituzione si dicevano Mandati, e non erano che generali indicazioni delle loro ispezioni », (1). Una delle più forti ragioni contro l’autenticità degli Statuti, si è questa che la legge del Maggior Consiglio, dalla quale essi vengono preceduti, è importantissima e solenne, e quindi non poteva esser nota ai soli mille individui onde il Maggior Consiglio si componeva; ma inevitabilmente doveva giungere a cognizione di tutta Venezia, e venire trascritta eziandio nelle leggi del Consiglio dei Dieci; perlocchè il nome stabilitosi di Inquisitori di Stato, secondo gli Statuti suddetti, doveva essere adottato e dal Consiglio dei Dieci e dagli stessi eletti Inquisitori. Oltreché solenne e publico, perchè preso con così publica deliberazione, è pure il decreto del Consiglio dei Dieci, per cui non si vede come questo abbia potuto intralasciare di farne copia ne’suoi registri; come pure non si vede in qual modo siasene potuto perdere la traccia al punto da non rimanerne più nemmanco una confusa tradizione. Onde il Daru stesso, nell’intento di dare con ciò maggior pregio alla propria scoperta, ingenuamente confessa che a cognizione sua, di quel decreto (I) Tiepolo, come sopra.