CAPITOLO X. 261 vide morir, Ira non molto, Marco Loredano fratello di Pietro, di morte istantanea. Anzi, persin nell’epigrafe posta sull’avello di colui si accennò il sospetto dell’avvelenamento. Ma chi mai poteva in buona fede far gravare i dubbi sul principe, e credere capace di simile nefandità un uomo, la cui specchiala onestà era stala fin allora universalmente riconosciuta, e che sapeva bene, massime per l’esempio del Faliero, che l’altosuo grado non avrebbe punto impedito che sul suo ca()o non piombasse l’inesorabile mannaia dei Dieci! Eppure il già nominato Giacomo Loredano fece mostra di credere ai scellerati sospetti contro il Doge per avere un pretesto onde poter continuare ancor più apertamente neH’implacabile suo studio di vendetta (1). V’ ha fin chi dice che un giorno inscrivesse il Loredano sulla nota de’suoi creditori alla partita del dare il nome di Francesco Foscari, come quegli che tanto gli doveva per la morte del fratello e del padre. E che poi, come fu compiuta, nel modo che vedremo tra breve, la giurata vendetta, abbia messo di suo pugno nella contropagina dell’atiere queste crudeli parole: me l’ha pagata. E per riescirvi non lasciossi sfuggire l’opportunità dell’essere uno dei tre capi del Consiglio dei Dieci. L’infelice Francesco Foscari oppresso sotto il peso di oltre ottani’anni e di tante avversità, all’ultimo colpo della morte del figlio perdette ogni lena di attendere ai pubblici affari e mestamente ritirossi nella parte più remota del suo palazzo, abbandonato solo al suo immenso (1) Nasce, tama i, injurias, quamvis imaginarias, non tam ad animum revocaverat Jacubus ÍMuredan, etc. — Palazzi, Fasti Ducali.