CAPITOLO VII. 175 Per il cho ebbe mollo a che fare col Sanlo Ofllcio, il quale, sdegnalo della libera sua opposizione, studiò ogni modo di perderlo, troppo facile riescendo alla veneranda inquisizione il tacciare un galantuomo a lei inviso di eresia. Questa volta, però, l’astuto Ossuna sarebbe riescilo a sottrarsi alle vendette inquisitoriali, col farsi tosto nominare viceré di Sicilia, dove acquistò tanti titoli alla publica benemerenza, col provvedere al materiale e morale incremento della città di Messina, col reprimere il brigandaggio, e respingere i ripetuti e furiosi assalii dei Turchi. Passato quindi, sotto men lieti auspicii, al governo di Napoli, tentò di conciliarsi il favor popolare col proibire ai gran signori di tenere ai loro soldi bravi, o banditi, ed ingiungere severamente ai tribunali che amministrassero la giustizia, senza distinzione di plebei o di nobili. E noi, lo confessiamo ingenuamente, non ci meravigliamo punlo di scorgere simili opere anche nei più mostruosi tiranni, dopo che abbiam visto con quali diaboliche arti cerli governi sappiano mostrarsi li amici ed i protettori del popolo, per riescire ad aizzarlo deplorabilmente contro la parte più culla e più nobile della nazione, la quale riesce , così, in più facil modo conculcala e depressa. La Gallizia ce ne ha porlo, or son pochi anni, un miserando esempio, che pur troppo si va rinnovellando sotto i nostri occhi, in questi giorni medesimi, nella Croazia, e nell’Ungaria fra la razza slava e la magiara, per opera di quella nefanda diplomazia austriaca, che venne inaugurata dal più abbietto e più perfido di tutti i sovrani, il quale, per altro, malgrado le inaudite ferocie dello Spielberg, ha saputo