CAPITOLO XII. 393 In vista di tanle enormità, il veneto senato non mancò di movere gravi querele a Vienna ed a Parigi; ma gli fu risposto con inutili promesse o con sprezzante silenzio. Dicevano ironicamente essere questi mali inevitabili in tempo di guerra ; essere Venezia veramente infelice; si darebbero i necessarii provedimenli perchè quegli scandali, almeno in parte, cessassero; ma intanto la pirateria soldatesca si faceva ogni dì più insopportabile. Eppure uno dei quinqueviri di Parigi ebbe il coraggio di lamentarsi perchè i Veneziani non amassero i Francesi! Straziati da tanti soprusi, gli stali della república non parevano più quelli. Le opere più cospicue falle segno agli oltraggi dei barbari; quanto s’era durato un secolo ad edificare, in un momento veniva distrutto. 1 più suntuosi palazzi ruinali; gli arredi più preziosi involali; i capi d’arie più insigni rolli e malconci. E non si poteva nemmanco moverne lamento; poiché, in mezzo a sì orribile strazio di sostanze e di persone, il pianto provocava gli scherni, e gli Italiani, per giunta, erano chiamali perfidi e vili. È sempre la medesima canzone. Questi atroci falli, come è ben naturale, inasprivano gli animi e li riempivano di sdegno anche contro il senato, come se fosse sua colpa l’abbandonare i popoli in preda a quei crudeli nemici. Non per questo mancarono però gli abitanti di terra ferma di rivolgersi a lui, per implorarne ordini, armi e munizione, deliberali com'erano di difendersi colla forza contro quelli efferati ladroni. Ma il senato cercava di ammansire gli animi, e non era troppo corrivo a dispensare le armi, perchè sperava sempre che qualche cosa sopravenisse a mettere fine a tante sciagure; e d’altra parte temeva che, date St. bel Cons. dei Dieci —Voi. II. ¿0