CAPITOLO XII. 107 gli sapremmo dare gran torlo; poiché, se una república aristocratica doveva essere per necessità ostile a quella nuovamente proclamata in Francia, una república democratica poteva riescirle assai utile. Per lo che, l’insinuazione del ministro francese venne deliberata e discussa nel Gran Consiglio. Era la prima volta, da cinquecent’anni in poi, che quivi s’udisse proferir parola intorno ad un possibile cambiamento riguardo la forma di governo. Ma, su circa duecento votanti, quella proposizione ebbe soli cinque voti favorevoli. Il Quirini, poi, mandò da Parigi la risposta del Direttorio che era ancora più evasiva di quella del ministro : il governo francese dichiaravasi affatto ignaro dei casi lamentali, e lasciava che tutta la responsabilità venisse a cader sulla soldatesca e sul generale Bonaparle. Onde pensossi di mandare a lui i due savii del collegio, Francesco Pesaro e Gio. Ballista Corner, perchè gli facessero osservare quanto fossero ingiuste quelfe ostilità di Bergamo e di Brescia, nella speranza di poterlo indurre a disapprovare solennemente la condotta delle due città ribellale, a restituirne i castelli, ed a consentire che il senato potesse, colle armi, ricondurre i ribelli all’obbedienza. Quei due commissarii raggiunsero Bonaparte a Gorizia, dov’egli li accolse con molta sollecitudine, benché gravemente preoccupato in ben altri affari, come sarebbe la capitolazione di Trieste. Gli esposero essi tutte le circostanze degli avvenimenti di Bergamo e di Brescia, procurando d’interessare in lui il sentimento di giustizia, perchè riparasse il torlo, anzi l’enorme offesa ch’erasi falla ad un governo neutro ed amico. Al che egli rispose non