CAPITOLO XII 337 Itippo di talenti sublimi, di magnanime virtù e di esemplare devozione alla patria ; ma non scorgevasi quel ben avventuralo equilibrio di poteri, per il quale riesce impossibile ai magistrati l’opprimere il popolo, o ad una fazione, il conculcar l’avversaria. A Venezia, un forte e silenzioso potere faceva tacere tutte le passioni personali, soffocava il germe dei partili e preveniva tutte le rivoluzioni. Ma d’altra parie non lasciava nemmanco che si distinguesse alcun individuo; nessun ingegno, nessuna volontà poteva farsi distinta sopra la sfera comune. Gli spirili non erano preoccupati che dalla nozione astratta della república; il mondo vedeva la Signoria, il Gran Consiglio, il Consiglio dei Dieci; vedeva coteste magistrature animale da un’ambizione profonda, boriosa, ostinala , che non si smentiva giammai ; eppure nessun nome reslava unito alle loro decisioni. Il carattere o le virtù del Doge; la prudenza d’un consigliere; i talenti di un oratore, non potevan mai farsi giorno olire il velo ond’ erano involte tutte le deliberazioni della Signoria. Gli stranieri, gli istorici, i sudditi stessi di quello Stalo vedevan sempre la república come un essere ideale, che non cangiava mai di sistema, che non aveva passioni, se non eterne; e che pure, per giungere a’suoi fini, sapeva servirsi di lulte le più nobili prerogative dell’ingegno e dei più preziosi senlimenti che l’amor di patria può sviluppare nel cuore di ogni cittadino, quando sa che questa patria lien conto delle sue azioni, ed egli vale per qualche cosa nella publica amministrazione dello Stalo. Conchiuderemo dunque col Giovini (1), ammettendo che i due tribunali del Consiglio dei Dieci e deH’Inquisi- (1) Rivista Europea, fascicolo di dicembre 1816. 0 ST. DEL CONS. DEI DIECI —Voi. I. 43