CAPITOLO VI. 155 può dire, il sangue alle popolazioni, noi avremmo tante ragioni di simpatia, tanti rapporti di fratellanza verso i popoli iberici! La nazione spagnuola parla una lingua che s’approssima all’italica più di parecchi dialetti del l’Italia stessa: ella vive sotto gli influssi di un medesimo cielo, sull’altra riva d’uno stesso mare, rendendo fede al medesimo culto, e dedicando scuole ai modelli delle medesime letterature. Nell’ una e nell’altra penisola si seguirono, con poco dissimile vicenda, il dominio romano, l’occupazione gotica, e, più o meno, le incursioni dei Saraceni; e, in el'a ben vicine a noi, una sola potenza si stendeva su l’uno e l’altro popolo, si affettavano gli stessi costumi, si vestiva la medesima cappa e 1’ ¡stesso austero collare. — Ed anco le lettere spagnuole sono poco apprezzale in Italia, e quasi ignote. Per mille giovani solleciti di addestrarsi alla lingua francese, più forse che all’ islessa favella nazionale, è diffìcile trovarne uno che spenda una settimana ad appianarsi le poche difficolta e le fievoli differenze della lingua spagnuola. L’Italia, che colle sue imitazioni ha saputo oscurare i trovatori provenzali, far rediviva l’epoca e la tragedia dei Greci, render sue le leggende romanzesche della cavalleria francese, ed è riescila a mostrarsi perfino invaghita delle nebbie d’Ossian, ed a riprodurre il romanzo solitario di Goethe ed il romanzo sociale di Walter Scolt, non si curò mai gran fatto di attingere inspirazioni alle fonti spagnuole. Nè le tradizioni guerriere del Cid, nè le facete novelle di don Chisciotte e di fra Gherundio, nè le guerre degli Aràuchi ebbero imitazione popolare fra noi. E persino quei pochi ingegni irrequieti che vogliono giungere a tutto furono