CAPITOLO XV. 443 quisilori, il far annegare uno nel modo il più illegale, il più iniquo ed il più inumano, perchè servisse d’esempio agli altri a non lasciarsi andare troppo facilmente a discorrere di cose che ai signori Dicci non potevano piacere? Bisogna tralasciar di commetterli i delitti, e non far pagare con la vita, com’è ripetuto anche nell'articolo secondo, la colpa di chi li racconta. No, non si possono chiamar arroganti i sudditi per i solo motivo che si fan lecito di adoperare il più prezioso dono che il cielo abbia compartito all’uomo per sindacare anche i fatti dei governanti, a meno che non si voglia • ritener con quel cinico che la ragione è la più triste e la più infausta delle umane facoltà. Quelli che si trovano al reggimento degli Stati, non è ancor detto che siano infallibili; e perciò i principi rigeneratori dell’odierna Italia, fra gli altri diritti, hanno ai sudditi sapientemente concesso quello di parlare non solo, ma ben anche di scrivere e di stampare i loro privati pensieri, intorno agli oggetti di publica aministrazione. Tanto son essi lontani dal crederé che in ciò possa riscontrarsi la benché minima arroganza; mentre, invece, universalmente ritiensi che appunto dal dibattersi delle varie opinioni sfavilla più sicura e più limpida la verità. Ed il più rilevante servigio che reca la stampa, sta in questo appunto che essa serve a correggere e ad indirizzare la publica opinione, sulla quale deve far fondamento chiunque voglia governare coll’amore, e non colla violenta la quale, anzi, sembra oramai che si prepari a diventare impossibile. L’articolo quinto minaccia la perdita della nobiltà a chi sarà nobile, et della vita a chi non sarà nobile! — La legge dev’essere eguale per tutti, ed al cospetto di essa non ci dev'essere dislinzion di persone. Ora, come