CAPITOLO VII. 203 favore, poiché il dolio scrittore se la cava, senza nè approvare nè negare nulla in fatto della congiura; e se, dall’una parte, dichiara ragionevole l’incredulità di Vittorio Siri e di tanti altri autori, i quali hanno consideralo quel complotto come una semplice finzione, e sostengono essere un vero delirio il pensare che fosse possibile il prendere lina città così popolosa e frastagliala da tanti canali, ed avente in mare una flotta superiore a quella del viceré, non manca, dall’altra, di ammirare la minuta e scrupolosa diligenza del Nani, e massime del Sainl-Réal, onde parrebbe che, scrivendo, avessero solt’occhio i documenti del processo. Dai quali documenti, riconosciuti ed ammessi per autentici dall’¡stesso Daru, ed è un bel dire, risulta invece all’evidenza che tutti in Venezia, e non solo il volgo, ma eziandio il senato, abbiano prestalo intera credenza al falto della congiura, ed anzi, sarebbero rimasti compresi da tanto spavento a pensare come, per essa, la república avesse corso pericolo d’andare in ruina, che il consiglio dei Dieci, ad allontanare la possibilità di vedere ripetersi un sì mostruoso tentativo, ha preso, all’unanimità, le seguenti deliberazioni, che: Io ogni anno si rendessero a Dio solenni grazie per la scoperta della congiura; si distribuissero 10,000 ducati agli ospitali ed ai monasteri ; si facessero preghiere per quarantotto ore per tutta la città, pena la vita a chi non facesse feria in tal giorno; 2° durante le sedute del gran Consiglio vi fosse una guardia di trecento uomini, armati d’archibugi ed alabarde, di cui una parte occuperebbe la piccola loggia dove debbonsi trovar sempre due procuratori per lutto il tempo che dura il gran