CAPITOLO V. 121 reputando ingiusto che sur alcuni pochi soltanto gravitasse il carico delle pubbliche imposte, ed altri, l'moni da nulla, godessero in santa pace, e senza punto lavorare, i beni che avrebbero bastato al mantenimento di tante famiglie, le quali ne avrebbero avuto ben maggiore diritto. Il che, per altro, riguarda solo i sudditi ed i beni secolari, non intendendo la republica di menomamente intaccare i beni degli ecclesiastici, ai quali anzi vien lasciata piena facoltà di ricevere doni di qualunque rilevanza, purché sia in danaro ed in altro oggetto mobile equivalente, ed anche in beni immobili, previo solo il consenso del senato. E d’altra parte, siccome i beni ecclesiastici eran protetti e conservati dai principi, a spese pubbliche, era ben giusto che nelle pubbliche necessità, sia di pace, sia di guerra, gli ecclesiastici non si rifiutassero di farne parte ai principi, com’era stato poi anche decretato dai concilii. Mentre, invece, pur di frequente avveniva che, colla scusa della religione, s’introducessero nelle città bande di uomini stranieri, i quali fon-davan chiese, case, oralorii in luoghi incomodi alla pubblica sicurezza; e, come se ciò non bastasse, s’arrogano poi anche cento stolidi diritti. Contro i quali abusi il senato non ha altro rimedio fuorché d’impedire che si costruiscano tali nuovi edi-fizi, mentre sul veneto ve n’era già tanta abbondanza. Per il che, vedendo il governo come venissero ogni dì più dimenticate le savie sue leggi, ha stimato necessario di rinnovarle e pubblicarle di nuovo. E impossibile vivere in pace in uno stato, se non si presta vigile ed assidua attenzione ai tristi ed ai faziosi, tra cui Irovansi ST. ItF.I- CONS. IIEI DIECI—Voi. II. 16