522 STORIA DEL CONSIGLIO DEI DIECI suo l'orzo non sarebber basiate contro agli imperiosi di lui voleri, risolse di cavare dal fallo suo il più che poteva , vendendo Forlì ai Veneziani. Ma, non bastò l’animo a costoro di entrare in sì ardue trattative, in circostanze tanto difficili; però, non dolerminaronsi, neppur essi, a cedere di buona voglia quanto avevan già occupalo, sicché l’ambizione dei diversi principi fu causa, e sempre, delle più orribili calamità per l’Italia. Rispeltosamenle i Veneti mostrarono al papa come quei paesi fossero stali per parecchi secoli sotto la podestà di principi diversi, e come tale potestà fosse stala interrotta solo per l’ingiusta usurpazione di Cesare Borgia, per cui era ben dritto che tornassero sollo l’aniica Signoria, dal momento che Cesare Borgia era caduto. Bimini l’avevano essi ottenuta dal Malatesla , e Faenza s'era spontaneamente sottomessa alla república. Tulio al più, per far atto di ossequiosa devozione verso il pontefice, e meritarsi l’ambila di lui benemerenza, pro-leslaronsi disposti a tenere quelle città con titolo di vicarialo della Sania .Sede, e di pagarle il consueto tributo. Ma Giulio 11 non era uomo da restar pago per tali parole, e, quindi, sdegnosamente rispose al veneto ambasciatore, che egli persisteva nell’esigere l’immediata restituzione delle reclamale cillà, pronto, all’uopo, di far ricorso alle armi spirituali, non solo, ma eziandio a quelle dei principi ch’eransi mostrali sempre i più fedeli propugnatori dei diritti della Santa Sede.—Ben disse l’ambasciatore che, non essendo Faenza e Bimini appartenute al patrimonio della chiesa, non poteva essa vantarne diritti; però, onde dar segno di condiscendenza, prometteva, a nome del suo governo, sarebber sempre