CAPITOLO XVII. A 81 dovevano aggredire per mare le fortezze occupate da Carlo, mentre l’imperatore e il duca di Milano avrebber rivolle le armi, l'uno verso il Piemonte e l’altro sulle frontiere di Francia. Per tal modo, Carlo fu dunque costretto d’abbandonare la propria conquista, lasciando solo a Giberto di Montpensier, principe del sangue, 2500 Svizzeri con pocbi altri uomini d’armi, per difendere e tener in freno il regno. Per tutte le fortezze nominò dei governatori, che procurò, di tenersi devoti a furia di beneficii; ma indarno; ed egli, con soli 9,000 uomini, in tutto e per tutto, dovette pensare ad attraversare l’Italia e le Alpi. Senza ostacoli passò per gli stati della Chiesa, e, giunto in Toscana, si fermò sette giorni a Pisa e sette a Siena, dove avrebbe ben potuto ricevere grossa somma di danaro ed un rinforzo di 2,000 uomini, se spontaneo si fosse deciso ad evacuar le fortezze. Ma egli stoltamente rifiutò ogni cosa, e, per giunta d’imprudenza, mandò un distaccamento della già così debole sua armata a far un assalto su Genova, nel mentre l’esercito di Venezia e del duca di Milano, grosso di trentamila uomini, slava ai piedi della montagna per impedirgli di varcar l’Appen-nino e di ricongiungersi al duca d'Orleans, che trovavasi •in Asti. Comandava all’esercito veneziano Francesco Gonzaga, marchese di Mantova, ed il conte Gaiazzo al milanese. Ma il Gonzaga diede forte a pensare alla república, lasciando nascere sul conto suo non lievi sospetti di tradimento. A buon conio, ai 25 di giugno 1497, si trattò la cosa nel Consiglio dei Dieci, al quale il Doge non volle intervenire. Già da qualche tempo dubilavan molti che il marchese avesse avvialo qualche trattativa col re di ST. BEL C()NS. DEI DIECI—Voi. I. 61