160 STORIA DEL CONSIGLIO DEI DIECI di Milano (1); imperciocché per mito egli sapeva trovare una scusa o un pretesto, onde finì per conchiudere: — In ogni caso, quand’io fossi il più colpevole del mondo, non dev’essere salvata la mia persona, e conservata la ragione delle genti?... Pensi la Signoria Vostra , quando altrimenti’ succedesse, il disordine, lo scandalo, l’inconveniente che vi sarebbe, lo avrei ben patito nella persona, ma ne succederiano scandali irre-mediabili. Ho lardalo a venire all’udienza perchè, da alcuni segni e rivolle che ho vedulo, non mi assicuravo, ed ho fallo una strada tortuosa e lunga. Il pericolo è grande : le provvisioni devono essere preste, sicure e convenienti (2). Difficile assai era la posizione di quella assemblea; imperocché, ad accettare per buoni tulli i sofismi addotti dal Bedmar era un gravemente compromettere il decoro dell’assemblea e la dignità nazionale; ed a prendere, invece, la cosa in sul serio, come ben meritata, s’andava a rischio di tirarsi addosso una vendetta tremenda da parie di Spagna. Per ovviare, adunque, ad entrambi i pericoli, il doge (3) fu sollecito di farne una questione tutta individuale, e di salvare così tutte le convenienze del governo spagnuolo; anzi protestò (1) * Per suo malanno gli trovarono insieme con due lettere di V. E. il passaporto e la commendatizia per Milano, carte ch’egli dice false, o poste fra le sue robe per ruinarlo —Revere, Bedmar, atto v. (2) Parole proferite dal Bedmar il 27 maggio 1618 , avanti il Consiglio. (3) Molti scrittori son d’avviso che il nuovo doge non ci fosse per anco, e che j| senato fosse presieduto dal cavaliere Dandolo, vice-doge.