CAPITOLO IV. 101 quasi tutta l’Italia, venne un’altra volta visitala dalla pestilenza. Tante disgrazie avevan messo un grave dissesto nelle fortune di molti, anche fra i più ricchi cittadini. Nè per questo volevan cedere nel lusso, sicché erano avviati ad una completa ruina. Provido, allora, il governo instituì leggi suntuarie nello scopo di regolare le spese dei cittadini anche nel vitto e nel vestito. Così i nobili furono in certo modo costretti a provveder meglio ai loro interessi, ed a riescire meno infensi a coloro cui move la stizza uno sfarzo eccessivo. Sotto Giovanni Dolfìno si ordinò che i membri del Consiglio dei Dieci, i quali per l’addietro nominavansi dai consiglieri e dai capi della Quarantia, fossero eletti dalla banca-, col patto che dovessero aver compiuti i trenta anni (1). A Dolfino venne, per equivoco, eletto a successore Lorenzo Celsi, intorno al quale noi non vorrem certo ripetere le maraviglie che ne cantano gli storici, tanto più che a far conoscere quale ei si fosse, ne sembra possa bastare questo fatto. Essendosi sempre rifiutato il di lui padre di levargli il cappello quando lo incontrava per via, egli, accoratissimo per sì grave mancanza « fece una crocetta sopra il fuso della sua berretta d’ oro. E per questo il padre tornò laberretta, ovvero cappuccio in testa. E quando vedeva il Doge, facevagli di cappuccio con dire: Lo faccio a quella croce, e non a mio figliuolo che, (1) « Clic quei del Consiglio dei X, il qual è la conservazione del nostro stato , così come al presente si fanno per elezione dei consiglieri e dei capi di XL, e una mano d'elezione, così de caeteru fieno eletti per la banca, e per due mani d’elezione: e quei che rimarranno, abbiano da trent'an'ii in su ». Marin Sinito.