154 STORIA DEL CONSIGLIO DEI DIECI vitupero, e dopo aver loro guasto l’anima e il corpo, ne deturpano anche la fama. Tristi e codardi eroi del bel mondo, nati per la maledizione del sesso muliebre! Memore il vecchio Doge dei lacrimevoli casi cui diede cagione il lieve castigo dato allo Steno, mosse gravame egli stesso contro il proprio figlio, che venne condannato a due mesi di prigione, oltre ad una multa di cento ducali, ed al precetto di non metter più piede per ben dieci anni nel quartiere dove abitava la donna oltraggiata. E se fosse toccalo al padre a pronunciar la sentenza, dicon gli istorici che essa sarebbe stata al certo più grave. Quantunque al reo non avrebbe recato un danno maggiore; imperocché lo sciagurato giovane, colto da improvviso morbo, non ebbe tempo di scontare tutta la pena, e finì miseramente i suoi giorni in prigione (1). Di questi tempi si pubblicarono nuove leggi per vieppiù restringere l’autorità del Doge, oramai più apparente che vera. Fu decretato doveriosi chiamare non più Domine mi, come per l’addietro, ma soltanto messer lo Doge, pena una buona multa a chi gli desse qualch’altro titolo più pomposo. Gli si proibì il possedere alcun feudo, e lo sposare i proprii figli con estranei, senza averne riportato licenza dal Gran Consiglio, dalla Quarantia e da’suoi (1) a Io non §o se il padre ricevesse maggior onore per il suo severo e privato giudicio, ovyero più tristezza per la morte del figliuolo. Costui, essendo giovane assai, s’ era innamorato di una gentildonna. Ma, come avvenir suole che tra g)i amanti passano spesso per sospetto subite e pericolose discordie, avvenne che il giovane, in disprezzo della sua amica, la quale allora gli era caduta in odio, legò alcune corna alla porta del marito. Inteso essersi stato costui, ilVeniero, mosso per l’offesa dei gentiluomo, fattolo ritenere, et confessato egli il suo errore, Io condanno egli medesimo alla prigione, nella quale il giovinetto morì, » — Sabiìllifo.