CAPITOLO XIV. 405 ed avrà onore di pianto presso coloro che tengono santa cosa lo amare la patria più della vita, ed amarla tanto da non poterle sopravvivere. Egli imperatere seppe e volle morire prima che cedere; non sopportò gli insulti o le inutili commiserazioni della servitù; non fu superstite alla sua fama. E ben disse Lodovico Sauli (1) : « Il fine di lui è degno di onore e di lode eterna. Per lo innanzi ebbe pochi esempi, ebbe in appresso pochi imitatori ». Prima di progredir nell’istoria è dover nostro l’esporre alcuni fatti che valgono a provar sempre più quanto severa e gelosa fosse la giustizia dei Dieci, ogniqualvolta si trattasse di delitti, od anche solo di mancanze, che, potessero riferirsi a cose di Stato. E comincieremo coll osservare con quanto rigore abbia proceduto contro la famiglia dei Barbo, benché fosse pur quella di papa Paolo 11. Un bel giorno, il 19 febraio 1471, il Consiglio dei Dieci, con giunta di venticinque, delibera che s’abbia tosto ad arrestare Isabella Zen, sorella del Papa. Niuno poteva indovinare il perchè. Quando si venne a sapere che don Giovanni Battista Zen, vescovo di Vicenza di lei figlio, e don Giovanni Michiel vescovo di Verona, di lei nipote, conoscevano tutto quanto veniva trattato nel Consiglio de’Pregadi, e quindi mettevano al fatto di ogni secreto la corte di Roma. Fatta perquisizione in casa della Zen, le si trovò un libro, il quale tutte conteneva le deliberazioni del suddetto Consiglio, per cui venne confinala in perpetuo esiglio a capo d’Istria.—Dal processo ri-sultaron complici anche Panlaleone ed Alvise Barbo : (1) Colonia di Genovesi, in Galata. — Lib. vi.