CAPITOLO XVII. ‘103 mentre invéce tulli i veri Italiani tripuderanno.di poter registrare nel libro della loro istoria delle pagine così nuove e così consolanti ! — E se da ciò pigliassero anche pretesto i nostri nemici per fare momentaneamente prevalere la superiorità della loro forza materiale, non vorremmo dolerci, nò anche per questo, dell’ accaduto, e risponderemmo con quelle scritturali parole: necesse est ut eveniant scandalo,, è necessario che succedano di tali scandali. Anche da questo lato però, che è il nostro più debole, abbiamo di che consolarci. E Cesare Balbo, nell’ultimo suo scritto mandato in luce in occasione delle prime riforme concesse al Piemonte ('1), riesce a provare come, sugli otto o nove milioni d’uomini appartenenti alle tre provincie italiane già rigenerale, si può far conto per oltre un milione di soldati buoni, e son tanti che bastano a difendere l’Italia da qualunque straniera invasione. Che Dio benedica il valentuomo, se non altro per il buon augurio e per il coraggio che sa infondere in altrui coll’cllicacia delle sue mollo competenti parole. Adesso, poi, che eziandio i nostri fratelli delle due Sicilie, grazie alla rivoluzione da loro leste così fortunatamente e gloriosamente compiuta, possono prestare l’ambito sussidio delle agguerrite loro braccia in favore della causa italiana, più forte e più fondala che mai si ridesta nei nostri cuori la speranza della vittoria. Del resto, a conoscere qual fosse di questi giorni lo stato in cui trovavasi l’alma città di Firenze, quando (1) Alcune prime parole sulla situazione nuova dei popoli Liguri e Piemontesi. Torino, 1847. — È un prezioso òpnscoletto che noi vorremmo caldamente raccomandare agli Italiani, se, per essere tosto diffusi, gli scritti del Balbo non avessero più bisogno oramai clic dell’ autorità del suo nome.