CAPITOLO IV. ior licenza, non sappiam dare nè ai coloni, nè ai Greci, lutto il torto. Fatto sta, che i Candiotti corsero all’armi. Se la pigliarono col governatore, il rinchiusero in una prigione, e per poco gli risparmiarono la vita (1). In sua vece elessero Marco Gradenigo; e l’odio di questi isolani contro la metropoli era giunto a tal segno, che per non avere più nulla di comune con essa, scambiarono persino il santo patrono da S. Marco in S. Tito, e poi si separarono affatto dalla Chiesa latina (2). Guai in quel fermento a chi avesse osalo metter di mezzo una parola di moderazione! Egli era certo di venir tosto, qual traditore, massacrato dalla moltitudine. E Venezia ebbe di grazia, questa volta, ad adoperare le buone. Mandò colà tre distinti personaggi, Andrea Zeno, Pietro Soranzo e Marco Morasini (3) per aggiustare amichevolmente le cose. Ma non fu loro tampoco concesso di metter piede a terra. Sicché, essendosi ostinata la república a mandare altri cinque deputati, non fece altro che esporli a ben più triste incontro. Questi sbarcarono; ma furono condotti attraverso a numerosa schiera di militi, e di mezzo ad una fremente moltitudine di popolo, dinanzi al governatore dell’isola. Tutte le vie erano gremite di gente, ed i cinque deputati furono vittime rassegnate dei più brutali insulti. Bisognava quindi far prova di valor militare. Ma era d'uopo che i ribelli Candiotti non potessero contare su nessun estraneo sussidio; e perciò i Veneziani si rivolsero (1) Conjeclis in vinculu venetis praefeclis. (2) Graecus ubique ritus lalinae et cathulicae religioni subrogatur. (3) Il Veri dice soltanto Andrea Contarmi, uomo facondissimo.