CAPITOLO XII. 451 gevano voce di trame, di congiure e di altre simili diavolerie, tanto per sgomentare gli animi ed atterrirli. Ma il senato non se ne commoveva punto, determinato, com’era, di non alterare menomamente le vecchie instilu-zioni della republica. Ed appunto per questo, i novatori studiarono il modo di .preterire dalla solita autorità del senato, adducendo per iscusa che, a casi straordinarii, bisognavano straordinarii provedimenli. Onde, il 50 aprile si ottenne di fare una seduta irregolare, nelle stanze private del doge, alla quale intervennero ristesse doge Manin, i suoi consiglieri, i tre capi della quaranlia, ed altri magistrati, tra i quali, ben inteso, anche i tre capi del nostro Consiglio dei Dieci. I momenli erano supremi, e la deliberazione della più grave importanza. Cominciò dunque il doge, e disse in dialetto veneziano: « La gravita e l’angustia delle presenti circoslanze chiama « tutte elle a proponer el miglior mezzo possibile per « presentar al supremo maggior Conscio el stato nel qual « se trovemo, per le notizie che stasera ne avanza.Ales-« sandro Marcello, savio de settimana. Prima, per altro, « eh’ elle fazza palese la loro opinion, le abbia la bontà « de raccoglier brevemente quel che xe per esponerghe « el cavalier Dolfin ». Costui, che era uno degli antichi savii del Consiglio, propose che si dovesse tentare di interporre i buoni of-ficii di un tal Haller, suo intrinseco amico e gran confidente del generale, onde ridurre l’animo del vincitore a più onesti consigli. Ma parvo ai più troppo puerile codesto divisamento. Onde Francesco Pesaro gagliardamente protestò che nulla oramai più rimaneva a decidersi se non sui mezzi di difendersi ad ogni costo, essendo