26 STORIA DEL CONSIGLIO DEI DIECI astuto, che vide coronati dall’esito i suoi superbi disegni. La Venezia democratica, serrato il Gran Consiglio, divenne aristocratica a perpetuità. Non è da far meraviglia se conseguenza di questo nuovo ordinamento di cose fu una terribile cospirazione. Malcontenti i nobili che rimanevano esclusi dai negozi dello stato, s’unirono a Baiamonte Tiepolo, sul cui padre, eletto Doge dal partilo popolare, l’aveva vinta Gradenigo aiutato dalla fazione patrizia, e che, irritato per ciò, metteva mano alla famosa congiura, alla quale ei deve il suo nome; per nulla distolto dal catlivo esito della rivolta, non a guari tentata da Marino Pocconi. A vieppiù inasprire gli animi, ed a procurare ai congiurati maggior numero di compagni, s’aggiungeva la circostanza che, in quei tempi, gli affari della república procedevano tutt’ altro che prosperi. Recenti erano i disastri sofferti dalle venete flotte a Curzola ed a Gallipoli; tanto più gravi se ne facevano le conseguenze per la perdita di Tolemaide, l’interdetto di Clemente v, e l’occupazione di Caorle. Baiamonte trovò nel suocero Marco Quirini, ed in tutta la costui famiglia, già per proprio conto assai corrucciata contro il Doge, gli uomini più risoluti a vendicar l’onta fatta al padre suo. Tre delle più cospicue famiglie venete erano alla testa della cospirazione. I Tiepolo, i Badoeri, i Quirini. Nel costoro palazzo avevan convegno i congiurati, tra i quali si notavano Andrea Dauro, Gian Maffei, Marco Venier, Michele Tetolo, Nicolò Veudramin, con altri di casa Barbaro e Barozzi. Quivi gli spirili esagitati si riaccendevano coi più ardenti discorsi. Oggetto del loro sdegno era la tirannia dej Doge, Iemale arti di parecchi fra i nobili e la patria