158 STORIA DEL CONSIGLIO DEI DIECI di assicurare alla città i suoi antichi privilegi, piuttosto che di provvedere ai proprii interessi. Ma Venezia si trovava allora a troppo buon partito per compiacersi ad accettare condizione di sorta, sicché diede sdegnosa risposta, con aperto rifiuto. Ed è indarno che il signor Sanuto tenta di voler gettare la cólpa tutta addosso allo stesso Carrara per la ragione che « avendo egli detto di volere trattare accordo colla signoria, i Veneziani, che hanno il sangue dolce, furono contenti di udirlo, e mandarono cinque dei primi della terra in campo per questo. » E se il detto signore avesse dimandato mercede, certamente avrebbe avuto buon partilo. Ma mai egli non si volle umiliare, e sempre stette pertinace nel suo mal fare (1). A queste parole non è proprio possibile il prestar fede. Non stavasi intanto inoperosa la formidabile giustizia del Leone. Certo Masolerio, veneziano, caduto in sospetto d’aver gettato con freccie qualche lettera nel campo nemico, dopo che gli venne estorto a colpi di corda, la voluta confessione, fu impiccalo alle porte del palazzo. L’ ¡stesso dì furono poste tra le colonne vivi con la testa in giù (2) due poveri chierici col Masolerio. Altri si trovaron morti nei giorni appresso, vicino ai lidi, quivi rigurgitati dall’aqua, nella quale erano stati immersi legati entro sacchi. — E solennemente salì sul patibolo Giovanni da Ticino, per sospetto che avesse secretamente parlato coi nemici. Eppure in un estremo conato buona parte delle truppe del Carrara riescirono ad aprirsi un varco sino al campo (1) Così il Sanuto, nella Fila del doge Michele Steno. (2) Sabellico, lib. vili.