491 STORIA DEL CONSIGLIO DEI DIECI • Manin la somma delle cose. Egli accettò, dichiarando di voler governare senz’altra cura politica, che quella di respingere l’inimico: è ancora il salutare programma della guerra vinta stalo slealmente respinto dal provvisorio lombardo. Quanto fece e patì Venezia per l’onore d’Italia tulla non è conosciuto abbastanza. Essa diede prima l’esempio della resistenza legale alle voglie degli ingiusti; essa difese le sue fortezze e le aque dagli assalti nemici; arrischiò temerarie sortite, nelle quali ha sempre avuto il vantaggio; munì più di sessanta fortezze e più che sessanta miglia di costa; educata agli abiti della pace, essa ha armato più gente che non molte provincie bellicose. E tanti sacrifìcii ha fatto senza nè querela, nè vanto. Eppure, non le mancarono, da parte dei matti realisti, calunnie, scherni ed oltraggi. Ma essa rispose alle calunnie con fatti, con ragioni agli oltraggi e con silenzio agli scherni ; e, dopo aver dato all’Italia pegno doloroso del suo amore alla grande unità, al cadere delle altre provincie, deliberò di rimanere al pericolo, fosse pur sola; e così s’è levala a tanta altezza da chiamare a sè l’ammirazione e la riverenza di quante anime generose ha l’Europa. Ma, stretta da tutte parli dal nemico, nacque il pericolo che a tanto buon volere non fossero per venir meno i mezzi materiali, onde l’Austriaco, se non per violenza delle armi, potesse impadronirsi colla disperazione della fame, di quella grande città. Bisognava dunque pensare a soccorrerla. Il povero Manin fu il primo a darne l’esempio col portare sull’aitar della patria tutti gli oggetti preziosi della presidenziale sua casa, consistenti