CAPITOLO XIII. 309 libertà conquistata (1). Così avvenga all’Austriaco di dover credere riguardo ai popoli di tutta Italia. L’avvenire dell’Italia è cosa che spetta all’intera Europa. Ora l’Italia è in Roma e in Venezia; quel braccio che si solleva in mezzo ai flutti, elevando un sacro vessillo, corre grave perìcolo di sommergersi se non vien sostenuto. Venezia è risoluta di difendersi ; ma, accerchiata com’è dal nemico, dove troverà i mezzi con cui sopperire alle necessità della guerra, se tutti noi non accorriamo a prestarglieli? Si guardi bene l’Italia di lasciar spegnere, per mancanza d’alimento, quell’ultima fiaccola di libertà, la quale ora sussiste per dirci che noi saremo liberi tosto che il vorremo. È falsissima l’idea, l’abbiamo già detto altre volte, e qui giova il ripeterlo, che la conquista della nostra indipendenza sia una questione puramente militare; perchè non è possibile che un corpo franco di 70 od 80 mila poveri Croati basti a tener schiavi 25 milioni d’italiani. Il male sta in ciò che l’organizzazione e la direzione dei nostri eserciti restò confidata sinora ai re, e ai duchi, e granduchi, e arciduchi d’Austria e di Borbone. E in questo senso che noi ci congratuliamo, perchè i veri propugnacoli della libertà italiana, Roma e Venezia, siano governate a popolo; imperocché se esse, soverchiate, alla fine, dalla forza brutale di tanti nemici, dovranno cadere, non cederanno sicuramente le armi prima di aver operato prodigi di valore; e così sarà salvo, almeno, l’onore della nazione. E questo non è poco. Imperocché il sangue dei tanti prodi onde fu tutto cosparso il sacro suolo della patria nostra, gioverà a fecondarvi i germi di quella libertà, alla quale tante e così preziose vittime (1) V. Gazzetta Officiale di Venezia dell’ll maggio 1849.