à CAPITOLO XII. 467 calo che cancellava' Venezia dal novero delle potenze europee, e la rendeva schiava di un padrone straniero. Chi mai poteva trovare equo che si facesse un trallico di popoli a nome di una nazione che aveva abolito il commercio degli uomini? Ma, pur troppo, quei reclami riescivano intempestivi, poiché l'opera nefanda era già compiuta. Contro l'osceno interesse politico dei governi ben reclamarono i popoli ; ma, come sempre, la voce dei popoli non venne ascoltata. Certo che poteva vedersi senza rammarico la caduta di una degenere aristocrazia e l’abolizione di un tribunale odioso; come pure era lecito agli amatori di libertà il congratularsi nel vedere inauguralo un nuovo sistema di governo più conformo allo spirilo dei tempi ed alla umana dignità. Ma ninno poteva, senza strazio, contemplare la morte di una república che aveva tanto contribuito al ritorno della civiltà in Europa. Ma Bonaparte persisteva inesorabile nel volere compiuti i suoi disegni; onde scriveva da Milano al suo agente in Venezia per avvertirlo che i Francesi dovevano sgombrare da quella città per lasciar luogo agli Austriaci; solo dando facoltà ai cittadini che volessero spatriare di ricoverarsi nella república cisalpina. Dolenie il yilletard di dover adempiere sì duro officio, recatosi nella sala delle adunanze, così espose a quei raccolti la terribile notizia: — «Cittadini, voi già anteponeste all’interesse vostro l’interesse della patria; un altro maggiore sforzo, un altro più nobile sacrificio vi resta a fare; e quest’è il dare l’interesse della vostra patria stessa all’interesse di tutta l'Europa. Già udiste le funeste voci sollecitamente sparse dai nemici