CAPITOLO XIII. 505 dipendenza italiana, ebbero il coraggio di chiamare nei loro stati le armi fraterne ed amiche degli Austriaci; i quali, perciò, dopo di avere brutalmente fulminale colle loro bombe Brescia, Livorno e Bologna, passeggiano da padroni nelle provincie di Toscana, Romagna e Piemonte, di cui occupano eziandio la più importante fortezza ! Ma, come Dio vuole, Roma, sacro baluardo di libertà, e Venezia, vero propugnacolo d’indipendenza, tengono ancora aitala fronte, onde la causa d’Italia non si può dire perduta. All’udire i tremendi disastri di guerra, Venezia non disperò; che anzi Manin propose, e l’assemblea all’unanimità decretò che essa «esisterà’ all’austriaco a qualunque costo; e con queste parole rispose al barbaro che un’altra volta le intimava di arrendersi. Venezia, adunque, piena il cuore di amarezza nel vedere lo strazio che si fa dell’Italia, non solo da mani straniere, ma per opera degli stessi suoi figli, serena e fidente, sta salda nel suo proponimento di resistere ad ogni costo. La fiacchezza dei confratelli non la prostrò: incitamento nuovo era a lei il dovere di lavare l’onta, che sempre più pesava, sul nome italiano. Non ama veramente la libertà chi non difende l’onore; e Venezia, quanto apprezza la libertà per istinto di popolo, come per vecchia abitudine di reggimento, altrettanto tien caro l’onore, perchè quattordici secoli di gloria non possono cancellarsi da pochi anni di violenta occupazione di una gente, che nulla mai ebbe, nè può avere di comune con lei. Quello di Venezia non fu il moto rivoluzionario di un giorno. Pochi fanatici ed esaltati non carpirono il potere per ambizione di dominio o per avidità di lucro. st. bel Cons. iiei dieci—Voi. II. 64