CAPITOLO XI. 551 che si circondasse subito Trieste con nuove fortificazioni, vi si erigesse un arsenale, e, senza mettere tempo in mezzo, si attendesse alia costruzione di bastimenti da guerra. E sì che la povera república non ha mancato, per interrompere i lavori, nè di proibire l'estrazione dei legni e delle pietre dall’Istria, nè di esporre, benché con timida voce, la ragione che, essendo essa già da più secoli sovrana del golfo, le restava esclusivo il diritto della navigazione con bastimenti armali. Ma l’Auslria, anch’essa, alla sua volta rispondeva che, essendo incontestabilmente padrona del porto di Trieste, voleva farvi tulle le opere che meglio le talentavano. E Venezia non ebbe più altro a replicare; anzi, quando, fra non molto, capitò a Trieste l'imperatore per assistere personalmente a quegli importanti lavori, il senato ebbe di grazia a spedire colà due ambasciatori per complimentarlo. Quando il papa ebbe visto i considerevoli vantaggi che tornavano all’ Austria per avere dichiarato Trieste porto franco, si affrettò di fare anch’egli altrettanto per Ancona, e con ciò fu dato il colpo di grazia al commercio veneto, aggravalo com’ era da sì enormi dogane. I negozianti, allora, si affrettarono di rimostrare al governo l’imitare quell’esempio, se non volevansi allontanare da Venezia tutti i commercianti stranieri. La república aveva fino dal 1658 fallo l’esperimento di accordare al porto le invocate franchigie; ma dopo venliquallr’anni di prova, alla resa dei conti, si trovò che col porlo franco le esportazioni erano notevolmente diminuite, ed il tesoro aveva sofferto uno scapito considerevole; onde nel 1689 le.franchigie vennero di bel nuovo soppresse. Negli