CAPITOLO Xll. 397 E un fallo ¡«nolo all’Europa, ma pur vero. Mentre la Francia s’inebriava indarno dei nuovi pensieri, e annunciava all’Europa un’èra nuova, che poi non riesciva a compiere so non aitraverso al più sanguinoso sovvertimento, la Lombardia, che già sentiva l’aura dei nuovi tempi, e nella sua miseria era pur sempre una terra di promissione, e aveva un popolo di mente aperta, e d’animo caldo e sensitivo, parve ai zelatori del bene come uno di quei campi eletti, in cui l’agricoltore fa prova di qualche novella semente. Fu quella la prima volta che la filosofia sedeva amministralrice di finanze, c d’annona e d’aziende comunali; e quell’unica volta degnamente corrispose a una nobile fiducia. In quei tempi, nella Lombardia s’intraprese il censo di tulli i beni, dietro un principio che poche nazioni hanno finora compreso. Si estimò in una moneta ideale, chiamata scudo, il valor comparativo d’ogni proprietà. Gli ulteriori aumenti di valore, che l'industria del proprietario venisse operando, non dovevano più considerarsi nell’imposta; la quale era sempre a ripartirsi sulla cifra invariabile dello scudato. Il censo divenne fondamento al regime comunale ; e i comuni lombardi divennero tanti piccoli stati minorenni, che, sotto la tutela dei magistrali, decretano opere publiche, e ne levano sopra sè medesimi l’imposta. Innumerevoli sono le riforme inlrodutte da quei filosofi; ma le più considerevoli sono: il riparlo territoriale, il riscatto delle regalie, l’abolizione dei fermieri, la tutela dei beni ecclesiastici, la riforma delle monete. Dalla metà del secolo, in poi, si attivò un’immensa divisione e suddivisione di beni; il numero dei possidenti e degli agiati crebbe nella proporzione slessa in cui crebbero i frulli. Si cominciò a