448 STOMA DEL CONSIGLIO DEI DIECI essendo composto di uomini « giusti, leali, costanti nelle loro massime, e ben diversi di quello ch’egli credeva », non avrebbero mancato di decidere per il meglio. Quel giorno, il generale volle aver seco a pranzo i veneti rappresentanti ; ma fu per questi un nuovo tormento, poiché, tutto il tempo del desinare, vennero oppressi da mille dimande intorno alla forma del loro governo, e da crudeli facezie intorno al Consiglio dei Dieci, ai processi dell’inquisizione di stalo, ai piombi, alle torture, al canal Orfano, e ad altre «simili menzogne, inventate o copiate dagli scrittori francesi », come si espressero i poveri deputali, nella loro relazione officiale. E, pur troppo, anche in quest’altra conferenza, fu agevole lo scorgere in Bonaparle il proposito determinato di volerla finire con Venezia; poiché, alle già enunciale pretensioni, aggiungeva pur quella di una multa di 22 milioni; « altrimenti, ripeteva sempre, altrimenti la guerra ». Erano già in viaggio per tornare a Venezia, quando incontrarono i due ambasciatori un messaggio del senato, col quale erano avvertiti che i Francesi, entrati anche in Vicenza ed in Padova, vi avevano, come al solilo, falta scoppiare l’insurrezione. E, per giunta, c’era anche il fatto del Lido, per cui veniva letalmente a cambiarsi lo stalo delle cose. Dopo ciò, come mai trovare il coraggio di presentarsi a Bonaparle? Eppure bisognò proprio aspettarlo a Palmanova, dove sollecitarono una di lui udienza con una lettera umilissima, nella quale era dello che se, per circostanze impossibili a prevedersi, fossero occorsi degli avvenimenli pei quali la república francese potesse credersi in diritto’di esigere riparazione; oppure, se, dopo quei gloriosi successi militari, il governo