CAPITOLO V. 129 in quella condizione di cose, mentre bisognava lottare contro il soverchiale numero dei nemici, che facevano continui sforzi per escire da quelle angustie, e riguadagnare il largo del mare; e contro la pertinace intemperie dei venti. S’incominciava già a scorgere del malumore fra i combattenti; già incominciavansi ad udire fra essi le voci dell’impazienza, della bestemmia e dell’imprecazione. Gridavan stoltezza il voler ostinarsi a continuare in una lotta così informe. Ed eran già presti a cedere il campo rendendo inutili così le durate fatiche, i successi ottenuti e l’opera del genio. Ma il genio non si smarrisce nè anche per siffatte contrarietà; nè anche per il massimo degli ostacoli, contro cui possa contendere forza umana, l’ingratitudine e la poca fede de’suoi. Mosè in procinto di essere lapidato, e Colombo di essere buttato in mare, ne diedero al mondo le più luminose testimonianze. Anche il Pisani si rimise al destino, e lasciò a lui il decidere di sè e della sua patria. Disse quindi, che fra quarantott’ ore si sarebbe dato per vinto, se non fosse arrivato il sussidio di Carlo Zeno da tanto tempo invocalo ed aspettalo indarno. Quaranlaselte erano già trascorse in una angosciosa ed inutile aspettativa. Siamo al primo di gennaio, un’ora sola innanzi che scadesse il termine fatalmente prefisso dal Pisani. Tutti gli occhi stanno intenti con ansia mortale all’estremo orizzonte. E nulla si vede. Quand’ecco, sull’immensa superficie del mare, comparire una vela; è una squadra!..,. Vivaddio! è proprio quella di Carlo Zeno. St. del Cons, dei Dieci—Voi. I. 17