CAPITOLO IX. 25 ì avendo sofferto tre anni di assedio c di carestia, Irovavasi in uno stato da metter pietà; e penetrare fino nel Bergamasco. E ciò nello spazio di pochissimi mesi. Venèzia allora con ¡straordinarie concessioni, con esenzioni d’imposte e con pubbliche feste cercò di mostrare a Brescia la molta sua gratitudine. Ben accorse in quella occasione il Piccinino, cui vane erano riescile le imprese eziandio della Toscana; ma le di lui forze oramai erano troppo inferiori a quelle di Venezia. Sicché il duca di Milano vide non aver più altro scampo che in una trattativa di pace. Si rivolse perciò all’islesso Sforza, onde si compiacesse farsene arbitro presso la república; ed egli recossi in fatti a Venezia per consultarne il Senato. Approfittò dell’assenza il Piccinino, il quale nel febbraio 1441 passò l’Adda e l’Ollio, prese Chiari, respinse i Veneti da Cremona e da Mantova, e già s'accingeva a tentar di riavere Bergamo e Brescia. Ciò udendo, tornò rapido come un fulmine lo Sforza, e bastò la sua presenza ad arrestare gli straordinarii successi dei nemici. Se non che, ritenendo i Veneziani che si dovesse venir quando che sia alla pace, avevan risparmiato le spese necessarie per rimettere in buon ordine l’esercito, per cui Io Sforza non avendo più ai suoi ordini che i poveri avanzi delle battaglie precedenti, non trovavasi certo a buon partito; e il Piccinino invece s’era nel frattempo assai rinforzalo. Ond’ è che se allora fossero venuti alle mani, i Veneziani avrebbero avuto incontrastabilmente la peggio. E per questo appunto il capitano avversario anelava di attaccar la battaglia. In sì triste frangente ecco giungere nel campo veneto da parte del duca un messaggiere di pace, con pieni poteri di far finita la guerra a palli onesti, e con promessa