268 STORIA DEL CONSIGLIO DEI DIECI povero vecchio non ne fosse stato miseramente avvelenato. E questo sospetto tramandatosi da generazione in generazione sussiste pur tuttodì nelle tradizioni popolari. Son pochi mesi che Francesco Sebregondi, giovine patrizio di eletto ingegno e di molti studi, avvalorava una tale opinione con prove desunte da documenti da lui studiosamente raccolti, e si fece sostenitore con una bella poesia che vide la luce in una strenna milanese. — A noi sembra per altro che non faccia bisogno di ricorrere al veleno per trovar la causa della repentina morte di un vecchio, già per gli anni cadente, affranto da sovrumani dolori ed in quell’istante colpito nel più vivo dell’animo. Cesare Balbo con queste sommarie parole riepiloga le molte sciagure del Doge Foscari : « Intanto era succeduta in Venezia una nuova di quelle misteriose tragedie a lei peculiari. Ivi dogava dal 1425, cioè dall’epoca delle ambizioni, delle conquiste, delle glorie di sua patria, Francesco Foscari, il più glorioso principe che Venezia avesse avuto da Enrico Dandolo in qua. Eppure fin dal 1445 gli era stato torturato, perseguitato, esilialo il figlio Jacopo, accusato da un vii fuoruscito Fiorentino d’aver toccalo danari dal Visconti. E fu riaccusalo di assassinio, ritorturato, riesiliato cinque anni appresso. E fu accusalo, torturato una lerza volta per una lettera di lui al duca di Milano, scritta apposta, disse il miserando giovine, per essere così ricondotto dall’ esilio e ricomprare con quella tortura l’invincibil brama di riabbracciare i parenti decrepiti, la dolce moglie, i figliuoli. E per la terza volta fu ricacciato e morì lontano. Quindici mesi dopo il vecchio glorioso, ma certo rimbambito, posciachè soffrì di regnare dopo tutto ciò, fu deposlo; e al sonar della campana grossa che annunciava l’incoronazione del successore,