CAPITOLO I. 13 rnno il cornando dell’escrcilo a Paolo Bagliorio, clic era sialo sino allora ai servigi del papa. Se non che , troppo impari erano le lorze venete in confronto di quelle degli alleali nemici, perchè la repu-1)1 ica potesse sognar mai di far grandi cose; mentre, anzi, era consiglio della più saggia prudenza il tenersi soltanto sulle difensive. Per tal modo, potè il duca di Ferrara riconquistare il Polesine di Rovigo, coi castelli d’Este e di Montagnana; ed, in pari tempo, l’esercito veneto dovette abbandonare Vicenza ed attendarsi sotto Padova, inseguito dalle milizie francesi o tedesche. E ben dovette la sciagurata città provare tutti gli strazii di una straniera invasione. — Vicenza fu abbandonata al saccheggio, e più di mille generosi, che fransi ritirali in una grotta vicina per tentarvi una disperala difesa, quivi perirono soffocati come, due anni sono, i Francesi in Africa, per ordine dell’ora vinto Abd-el-Kader. E qui non manca neppure il Daru di rendere il debito omaggio all’eroismo dei Veneziani, i quali combattevano in quella guerra per difendere la propria esistenza contro la Francia, l’impero, e la rimanente llalia, insieme congiurate a loro danno. Nessuna causa al mondo fu mai più sacra della loro, ed essi furono ben lungi dal pareggiare gli orrori di cui i loro nemici si resero colpevoli. Allora l’esercito francese si volse ad assalire Le-gnago, l’ultima piazza forte che rimaneva ai Veneziani sull’Adige, e che in pochi giorni fu pur ceduta al nemico. Nelle ribalde partizioni fatte da prima tra gli alleali, era stabilito che Legnago dovesse toccare all’imperatore; ma egli non aveva milizia che bastasse per