CAPITOLO XIII. 355 esser quello di vigilare e di punire i nobili. Cosi parla la legge: « Che per li rispetti ben noti a questo Consiglio, tutti li casi criminali, nei quali, così offendendo, come essendo offeso, che siano pensali, ovvero che ne sia seguita morte di alcuno, siano espediti per questo Consiglio'». Gli altri casi criminali, ove intervenga nobile, erano devoluti ad altre magistrature. Con legge del 19 febbraio 1622, riconfermala il 6 giugno 1699, fu proibito dal Maggior Consiglio ad ogni nobile ecclesiastico ed ai figli naturali dei nobili che seguissero lo stato ecclesiastico il ricevere stipendii dai principi laici; e toccò poi ai Dieci il provvedere all”a-dempimenlo di questi ordini. Il 16 giugno 1652 fu statuito dai Dieci di punire i nobili, che nelle votazioni barattassero le pallottole dei suffragi -, ed il 10 ottobre 1652 il Maggior Consiglio proibì ai nobili d’ingerirsi, in qualsiasi modo, nei dazi, lasciando ai Dieci la cura di sorvegliare e di castigare. L’autorità del Consiglio dei Dieci sui nobili finì col-l’estendersi persino sugli atti della vita domestica, e col tempo venne ad essi proibito quella immane parrucca che formava tanta parte del loro vestilo, e proscritto l’uso del ferraiuolo e le livree dei servi. Sicché si può dire che sui nobili pesava direttamente la mano di una giustizia assidua, vigilantissima, che nulla poteva arrestare, moderata solo dal consenso comune di tutti coloro i quali componevano la sovranità. Nessuna meraviglia adunque che siano poi nali quei dissidii e quei conflitti, di cui ci avverrà in seguito di tenere discorso. Basta guardare alle dottrine da noi professate altrove nel corso di quest’opera per persuadersi che noi non