CAPITOLO XIV. 411 bero recato alla república quelle discordie e sedizioni, e quindi esortare i cittadini alla pace ed alla unione. 11 discorso fu fatto; durò una buon’ora, e piacque moltissimo. Ma appena finito, Alvise Capello cavò di tasca una lista sulla quale erano scritti i nomi di 24 famiglie vecchie, e la porse ad Andrea Barbaro, eccitandolo a non dare il suo voto per nessuna di esse. Così passando di mano in mano, quella carta giunse sott’occhio di Biagio Mi-chiel, il quale, com’ebbe visto su di esse anche il proprio nome, pieno di desolazione scrisse un viglietto al doge ' suo vecchio amico, per comunicargli il fatto ed eccitarlo a provedervi senza riguardi, onde in Venezia non si avesse poi a deplorar chi sa quali scandali; si movesse adunque ed in tanto pericolo non facesse come l’acqua nelle saline, chc no va nè in su nè in zo. Questo stile parve un po’ troppo famigliare all’amico doge, sicché il viglietto andò a finire nelle mani dei Dieci; i quali fattosi venir d’innanzi l’autore, gli diedero un buon rabbuffo, e per giunta sei tennero in custodia finché radunatisi in consiglio, il condannarono a recarsi per cinque anni a Treviso, con minaccia di duecento ducati di taglia, e due anni di prigione oltre al bando, se avesse violato il confine. Un’altra volta Gabriele Bon e Francesco Alvise, capi di Quaranta, consigliatisi con Bartolomeo de Rossi e Giovanni Negro, pensarono di fare un’associazione di mutuo soccorso, come si direbbe ai dì nostri, onde dispensare settantamila ducati annui ai poveri gentiluomini privi d’impiego; nella proporzione di cento ducati per testa a quelli che passavano i sessantanni, e di cinquanta a quelli dai venticinque ai sessanta. Non poco si adombrarono i Dieci per tale novità, e caldamente vi si op-