CAPITOLO III. 7." Pisa, del re di Napoli e dell’imperalor greco; sicché dovette provvedere da se medesima a sì imponente bisogna. Nominò capitano della iloti a Nicolò Pisani: creò un apposito collegio di xxv savii onde potesse più di leggieri aver cura del buon esito della guerra ; ed accrebbe straordinariamente l’imposto dei dazi onde sopperire alle strettezze dell’erario. Ma neanche Genova se ne stelle inoperosa, ed in breve allestì una formidabile flotta, la quale, sollo il comando di Filippo Doria, assalse ed occupò ¡Negroponte. La somma della guerra si ridusse nelle vicinanze di Pera, dove, malgrado la lega stretta con Giovanni Paleologo, i Veneziani ebbero la peggio. Temette il governo che ciò fosse accaduto per codardia, dei capitani, e mandò uno degli Avogadori del comune ad inquisire i colpevoli. Cinque ne furono presi, e cautamente spedili a Venezia per esservi processati. Una tal misura di terrore, presa per la prima volta in quella circostanza, venne in seguito ordinariamente adottala. Imbaldanziti i Genovesi per questa vittoria, entrano all’improvviso nell’Adriatico, e si spingono fino all’lstria, con danno enorme di quei litorali. Siffatte disgrazie danno opportunità al re d’Ungaria di chiedere alla república le terre tulle che essa possedeva nella Dalmazia. Ma contro tanto ardire si arruolarono milizie negli Stati del Carrarese, del Gonzaga e degli Scaligeri; le quali rintuzzarono le superbe pretese del re ungaro, e scacciarono ben anco i Genovesi dal golfo. In questo mentre, le armate nemiche ebbero un secondo scontro in Levante ; ma con esito sì diverso dal primo, che i Genovesi, sconfìtti, si trovarono ridotti a tanta disperazione da rassegnarsi a divenir sudditi di St. del Cons. bei Dieci —Voi. I. 10