CAPITOLO ili. 7S Travagliali i Veneziani eziandio per le rapacità degli LJngari nella malfida Dalmazia non si fecero pregare a porgere orecchio alle trattative di pace coi Genovesi , già avviate pei buoni uffici del Visconte. La pace si concliiuse in Milano, a patto che le due republiche si risarcissero reciprocamente i danni del 1229, arbitri i Visconti; per un triennio nessuna delle parli potesse navigare a Tana; si lasciassero andar liberi i prigionieri di guerra in Italia e nel Levante ; non potessero i Genovesi penetrare nell’ Adriatico , nè i Veneziani nel tratto di mare che si stende da Porto-Pisano a Marsiglia. Ìu tra i mediatori di questa pace Marin Faliero, uomo di distinto ingegno, che era già stato podestà di Tre-vigi (1), ed aveva coperto parecchi dei più cospicui incarichi dello Stalo e del quale, per la speciale natura della nostra istoria, ci troviamo in debito di fare più distese parole. Era egli già vecchio di sellanlasei anni, quando, nel 1354, fu eletto successore del doge Andrea Dandolo. E giova notare come tal scella siasi fatta senza neanche il sospetto del più piccolo broglio, trovandosi allora il Faliero legalo ad Avignone per trattare, presso papa Innocenzo, (1) Gli scrittori, i quali ebbero la bontà di versare ogni vitupero sul capo di questo valentuomo, dopo che subì la condanna inflittagli dal Consiglio dei Dieci per le ragioni che verremo in seguito esponendo, riferiscono appunto al tempo in cui egli era podestà di Trevigi la storiella dello schiaffo da lui dato in publico al prete, il quale aveva messo alle prove la di lui pazienza, facendolo aspettar troppo lungo tempo sulla piazza innanzi uscire coll’ ostensorio per la processione. Da siffatta enormità il Saudi, il Sanuto, il Veri, e quasi tutti gli storici del medesimo stampo, vorrebbero derivare la conseguenza del triste fine che fece pur troppo il. Faliero.