CAPITOLO V 109 senso, l>en potevano fare altrettanto i principi riguardo la cessione dei beni secolari e gli ecclesiastici. E del resto, i principi secolari lenendo da Dio la facoltà di promulgare quelle leggi che loro sembravan più confacenti al pubblico bene, la revoca voluta da sua santità avrebbe, senz’altro, rovesciale le fondamenta di tutto lo Stalo. Nel leggere la quale risposta il papa si turbò orribilmente; protestò che ai Monilorii non si poteva faro replica di sorla, e ch’egli voleva essere obbedito per la ragione che la causa sua era pur quella di Dio, e, quindi, contr’essa le porte dell'inferno non potranno mai pi'evalere. Ma, come fu sbollilo lo sdegno, ei riprese un’aria calma e si lasciò sfuggire qualche parola da poter quasi far ¡sperare non fosse tanto alieno dal venire ad una conciliazione. 11 senato veneto, però, diè prova della sua solita sagacia col non fidarsi punto di quelle melale pa» role, e prima di concedere quanto il papa esigeva, volle assicurarsi s’egli avrebbe poi accordato alla república quanto di diritto le si doveva. Ma non tardò molto a convincersi che, sotto le pontificali blandizie, si nascondeva una specie di tradimento. In luogo del Donato, fu spedilo a Roma come ambasciatore straordinario Pietro Duodo ; e , vedendo il papa che il valentuomo non aveva alcuna voglia di lasciarsi da lui accalappiare, un giorno, rivoltosi bruscamente al cavalier Nani, gli disse: fate che il vostro collega non mi venga più innanzi colle sue solile ragioni, perchè me ne ha già dette abbastanza. II 25 febbraio (1606), due giorni dopo la partenza di Duodo da Roma, il nuncio pontificio presentò al doge un altro Breve, in cui era dello che, avendo saputo il