CAPITOLO 11. 61 e l’inesorabile severità a reprimere le soverchianti ambizioni, a proteggere il popolo, ad infondere coraggio nei pericoli, magnanimità nelle traversie, e ad evitare i danni che spesso sogliono derivare, nei governi aristocratici, per l’improvido esitare di chi comanda. Poiché, ad onta del proverbio, si dà piti volle il caso in cui non è possibile far precedere al fatto il consiglio; per cui più volte la republica si vide tolta da una pericolosa posizione per le pronte ed audaci deliberazioni dei Dieci. È forse in questo modo che essi riescirono a guadagnarsi l’opinione della necessità di loro magistratura: senza di che non avrebbe certo potuto reggere gran tempo. Ond’ è che l’istesso Amelot si lasciò sfuggire parecchie volte la confessione che da questo Consiglio dipendeva tutta l’economia del governo: che esso era la pietra angolare dello Stato: la chiave che teneva sospesa la volta dell’ediGcio di quella grande aristocrazia, e che ne faceva tutta la forza e l’ornamento; per cui lasciava luogo a temere che, se si fosse abolito, la republica di Venezia sarebbe caduta, come avvenne di quella di Sparta alla soppressione degli Efori. In conclusione, si può dire che il Consiglio dei Dieci sia statoulile alla republica, o no?—Comunque siano discordi, ed anzi affatto opposti, i giudizi dei diversi autori, pare non possa essere dubia la risposta. — Per il governo, sì, certo; per i governati, incontrastabilmente no. — Ed il male sta tutto, appunto, in tal differenza, mentre, se le cose hanno da camminar bene, i reciproci interessi devono proceder d’accordo; e quel paese è più beato, in cui i sudditi si sentono spinti dall’ amore e dalla necessità ad insurgere per la difesa del proprio principe, ed a renderlo ognor più forte e potente.